La Siria tra rivoluzione e controrivoluzioni

138796921-638x425Gilbert Achcar, autore del nuovo libro The People Want, è stato intervistato da Terry Conway per la rivista britannica “Socialist Resistance”.
Intervista tratta dal sito socialistresistance.org

Qui la versione originale in inglese.

TC: Potrebbe darci una valutazione sull’attuale stato delle insurrezioni arabe in generale prima di concentrarci specificamente sulla Siria?

GA: Ciò che sta accadendo ora è la conferma di quello si poteva dire fin dall’inizio, ovvero che quanto è cominciato nel dicembre del 2010 in Tunisia. non era una ‘Primavera’ come è stata definita dai media, un breve periodo di cambiamento politico durante il quale vengono destituiti questo o quell’altro despota, aprendo la strada a una bella democrazia parlamentare, e basta. Le insurrezioni sono state descritte come una ‘rivoluzione di Facebook’, un’altra delle  cosiddette ‘rivoluzioni  colorate’.  Io, da parte mia, ho insistito dall’inizio che questa era una rappresentazione errata della realtà e che quello che aveva iniziato a realizzarsi  nel 2011, era un processo rivoluzionario di lungo periodo che si sarebbe sviluppato lungo molti, molti anni, se non decenni, specialmente se teniamo conto della sua estensione geografica.

Da questo punto di vista, quanto successo finora è solamente la fase iniziale del processo. In alcuni paesi sono riusciti ad andare oltre la fase iniziale rovesciando i governi esistenti, come nel caso di Egitto, Tunisia e Libia – i tre paesi dove i regimi sono stati deposti dalle insurrezioni. E possiamo vedere che questi paesi sono ancora in pieno subbuglio, in stato instabilità – il che è normale in  periodi rivoluzionari.
Chi vuole credere che l’insurrezione araba sia finita o che sia nata morta, si sono concentrati sulla vittoria iniziale delle forze islamiche nelle elezioni in Tunisia e in Egitto. Contro questi profeti di sventura ho sottolineato il fatto che questo era in realtà inevitabile dal momento che elezioni svoltesi poco dopo il rovesciamento del regime dispotico, potevano soltanto riflettere l’equilibrio delle forze organizzate esistenti in questi paesi. Ho sostenuto che il periodo dei fondamentalisti islamici al potere non sarebbe durato a lungo, considerando le vere radici del processo rivoluzionario.
Questo processo rivoluzionario di lungo periodo è radicato nella realtà sociale della regione, caratterizzata da molti decenni di sviluppo bloccato – una percentuale di disoccupazione, specialmente giovanile, più alta che in qualsiasi altra regione del mondo, da diversi decenni. Queste sono stare le reali ragioni fondamentali dell’esplosione, e fino a quando queste cause non vengono affrontate, il processo continuerà. Qualsiasi nuovo governo non proporrà soluzioni a questi problemi fondamentali fallirà. Era prevedibile che la Fratellanza Musulmana avrebbe fallito: nel mio libro The People Want  [Il popolo vuole] che naturalmente è stato scritto prima della deposizione di Morsi in Egitto, sostenevo che la Fratellanza Musulmana avrebbe inevitabilmente fallito. Ho scritto la stessa cosa a proposito  di Ennahda in Tunisia, che deve ora affrontare  un movimento di protesta molto forte che mette in dubbio il futuro del governo.
E’ quindi in corso un processo in tutta la regione che, come qualsiasi altro processo rivoluzionario nella storia, ha i suoi alti e bassi, periodi di avanzamenti e periodi di arretramenti – talvolta periodi di ambiguità. L’evento più ambiguo dell’intero processo finora, è stata la recente esperienza in Egitto dove abbiamo assistito a questa immensa mobilitazione di massa contro Morsi del 30 giugno, che è stata un’esperienza molto avanzata in una democrazia da parte di un movimento di massa che ha chiesto le dimissioni di un presidente eletto che aveva tradito le promesse fatte al popolo. Allo stesso tempo, e in questo sta, naturalmente, l’ambiguità, si è avuto il colpo di stato militare e le diffuse illusioni che l’esercito potesse avere un ruolo progressista, sia tra i settori egemoni della sinistra larga che tra i liberali.

TC:  Quindi come si colloca la sua analisi della Siria in questo quadro generale di ciò che accade nella regione?

GA: Non può esserci alcun dubbio che quello che è cominciato in Siria nel 2011 è parte dello stesso processo rivoluzionario che avviene negli altri paesi: è parte dello stesso fenomeno e guidato dalle stesse cause fondamentali – da uno sviluppo bloccato e da una disoccupazione in particolare giovanile. La Siria non fa decisamente eccezione – è anzi uno dei casi più seri di crisi sociale ed economica della regione. Questa situazione è il risultato delle politiche neoliberiste degli  Assad – padre e figlio – ma specialmente di quelle del figlio da quando è arrivato al potere circa dodici anni fa, dopo al morte del padre.

La Siria è un paese che ha visto un massiccio impoverimento nello scorso decennio, specialmente nelle aree rurali; il livello di povertà è continuato ad aumentare raggiungendo un livello in cui quasi un terzo della popolazione si trovava sotto la soglia nazionale di povertà, con una disoccupazione in aumento. Alla vigilia dell’insurrezione, le sottostimate cifre ufficiali segnalavano il 15% di disoccupati in termini generali, e oltre un terzo per quanto riguarda i giovani dell’età compresa tra i 15 e i 24 anni.
Tutto questo accadeva sullo sfondo di un’immensa disuguaglianza sociale, un regime estremamente corrotto – nel quale il cugino di Bashar Assad è diventato l’uomo più ricco del paese controllando, è opinione diffusa, oltre metà dell’economia. Ed è soltanto un membro del clan al potere – in cui tutti i membri ottenevano enormi vantaggi materiali. Il clan funziona come una vera mafia, e governa il paese da diversi decenni.
Questo costituisce la radice profonda  dell’esplosione, insieme al fatto che il regime siriano è uno dei più autoritari della regione. Paragonato alla Siria di Assad, l’Egitto di Mubarak  era un faro di democrazia e di libertà politica!

Non è stata quindi una sorpresa che dopo la Tunisia e l’Egitto, la Libia, lo Yemen, ecc., anche la Siria si sia mobilitata. E, analogamente, non è stata una sorpresa, per quelli come me che conoscevano le caratteristiche del regime siriano, che il movimento non ottenesse quello che aveva  ottenuto in Tunisia e in Egitto grazie alle manifestazioni di massa.
Quello che è specifico di questo regime, è che il padre di Assad aveva rimodellato e ricostruito l’apparato statale, specialmente il suo nucleo duro – le forze armate – allo scopo di creare una guardia pretoria per se stesso. L’esercito, specialmente le sue forze scelte, è legato al regime in vari modi, in gran parte per mezzo del settarismo. Perfino le persone che non hanno mai sentito parlare prima della Siria, adesso sanno che il regime è fondato su una minoranza nel paese – circa il 10% della popolazione, gli Alauiti.
Con un esercito totalmente leale nei confronti del regime, qualsiasi illusione (e all’inizio ci sono stare molte illusioni nel movimento) che questo potesse essere rovesciato soltanto per mezzo di dimostrazioni di massa, era sbagliata. In un certo senso era inevitabile che l’insurrezione si sarebbe trasformata in una guerra civile perché non c’è modo di rovesciare un regime di questa natura senza una guerra civile.
Nella storia delle rivoluzioni, quelle pacifiche sono realmente un’eccezione, non la regola. La maggior parte delle rivoluzioni, se non sono cominciate con una guerra civile, come la rivoluzione cinese, hanno portato rapidamente a guerre civili come quella francese, quella russa, ecc.

Detto questo, il regime siriano è soltanto una delle controrivoluzioni con cui deve confrontarsi l’insurrezione siriana, anche se è di gran lunga la più letale. Una seconda controrivoluzione è costituita dalle monarchie del Golfo, il principale bastione reazionario nell’intera regione. Queste monarchie hanno reagito all’insurrezione araba nell’unico modo possibile per loro, specialmente dato che il loro padrino, l’imperialismo statunitense, non era nella posizione di intervenire come forza controrivoluzionaria contro le insurrezioni. Hanno perciò tentato di cooptarli, di recuperare il movimento. E per le monarchie del Golfo questo significava battersi per trasformare le rivoluzioni sociali e democratiche in movimenti guidati da forze che non costituissero una minaccia per loro dal punto di vista ideologico. Questo si può dire  per la Fratellanza Musulmana che è stata pesantemente appoggiata dell’Emirato del Qatar e anche per tutti i tipi di Salafiti – dai ‘moderati’ ai jihadisti – sostenuti dal regno saudita e dalle varie reti Wahhbite- Salafite nei paesi del Golfo.
Queste monarchie hanno fatto del loro meglio  per aiutare e promuovere all’interno dell’insurrezione siriana un risultato favorevole ai loro interessi , trasformando la rivoluzione democratica – che costituirebbe una minaccia per loro – in una guerra settaria. In questo caso c’è stata una reale convergenza tra loro e la principale controrivoluzione, cioè il regime.

All’inizio n Siria ci sono state manifestazioni, come in qualsiasi altra parte nella regione: organizzate e guidate da giovani in rete tra loro attraverso i social media; manifestazioni molto coraggiose con chiare rivendicazioni sociali, democratiche e antisettarie. Dal primo giorno, però, il regime ha sostenuto che erano dirette da Al Qaida, esattamente quello che sosteneva Gheddafi in Libia; in entrambi i casi questo era un messaggio diretto all’Occidente, dicendo a Washington: “Non fate errori – siamo vostri amici, combattiamo lo stesso nemico, combattiamo Al Qaida, quindi non dovreste prendere posizione contro di noi, quanto invece sostenerci.
Il regime siriano ha fatto di più che intraprendere una guerra di propaganda – ha fatto uscire i jihadisti dalle carceri per fomentare lo sviluppo di questa corrente all’interno dell’insurrezione. Nell’opposizione siriana c’è una convinzione diffusa che i gruppi di Al Qaida siano infiltrati e manipolati dal regime. In effetti non è un’opinione inverosimile – certamente c’è un certo livello di coinvolgimento, anche se nessuno può quantificarlo.

C’è poi una terza forza controrivoluzionaria che opera contro l’insurrezione siriana: sono naturalmente, gli Stati Uniti, e aggiungerei anche Israele. Gli Stati Uniti sono controrivoluzionari nel pieno senso del termine per quanto riguardo la Siria come per gli altri paesi della regione. Washington non vuole che alcuno stato sia smantellato. Vuole una cosiddetta ‘transizione ordinata’; un cambio di mano con una sostanziale continuità della struttura statale. Washington e Londra continuano a parlare delle ‘lezioni dell’Iraq’, spiegando di aver sbagliato a smantellare lo stato Baathista. ‘Avremmo dovuto mantenere quello stato, rimuovendo solamente Saddam Hussein; se lo avessimo fatto, non avremmo dovuto affrontare così tante difficoltà”.

Potreste chiedervi: e la Libia? Ebbene, prima della caduta di Gheddafi ho scritto un lungo articolo spiegando che l’intervento della NATO in Libia era un tentativo di cooptare l’insurrezione, di dirigerla e di gestirla mentre loro erano impegnati in negoziati con Saif al-Islam, il figlio di Gheddafi considerato dall’Occidente il membro buono della famiglia governante. Volevano che ottenesse le dimissioni del padre in suo favore, cosa che sarebbe andata molto bene a Washington, Londra, Parigi e agli altri. Naturalmente, però, l’insurrezione libica è andata oltre questo limite quando l’insurrezione a Tripoli ha portato al crollo dell’intero regime.

Riguardo alla Siria, Washington dice molto chiaramente – anche durante la recente crisi riguardo le armi chimiche – “Non vogliamo che il regime venga abbattuto, vogliamo una soluzione politica,” quella che  Obama ha chiamato anche un anno ‘soluzione yemenita’. Che cosa era accaduto in Yemen? Il presidente, Ali Abdullah Saleh, dopo un anno di insurrezione, aveva ceduto il potere con un grande sorriso sulla faccia, al vice presidente e da allora è rimasto nel paese dove tira ancora molti fili. Questa è solamente una presa in giro, una vera frustrazione per le forze radicali di quel paese. Questo è anche il motivo per cui in Yemen nulla è finito, anche se non se ne sente parlare nei notiziari qui in Occidente.  Il movimento continua in Yemen così come in Bahrein e in tutta la regione.
Questo è il tipo di soluzione che gli Stati Uniti vogliono per la Siria. Non vogliono intervenire militarmente come hanno fatto in Libia. La recente fiammata è avvenuta perché Washington si sentiva sotto pressione, con la sua ‘credibilità’ a rischio dopo che Obama aveva tracciato la sua ‘linea rossa’ riguardo l’uso delle armi chimiche. Anche mentre mettevano in conto gli attacchi, spiegavano però che sarebbero stati attacchi molto limitati che non avrebbero influenzato l’equilibrio delle forze. Il New York Times  ha pubblicato un lungo articolo nel quale segnalava che Israele desiderava esattamente la stessa cosa: attacchi contenuti che non alterassero l’equilibrio delle forze all’interno della Siria.
Le potenze occidentali non vorrebbero dare alcun appoggio sostanziale – specialmente di tipo militare – a nessuno, perché non hanno fiducia in nessuna forza dell’opposizione. Come ha scritto il presidente dello Stato Maggiore interforze statunitense, Martin Dempsey, “in Siria, oggi, non si tratta di scegliere tra due parti, ma piuttosto di scegliere una tra molte parti. E’ mia convinzione che la parte che scegliamo deve essere pronta a promuovere i loro interessi e i nostri quando l’equilibrio si sposta in loro favore. Oggi non sono  pronte.”

TC: Non ha citato la Russia quando ha parlato delle forze controrivoluzionarie. Sarebbe giusto considerarla come la quarta colonna, in questo caso?

GA: Non l’ ho citate perché sono ovviamente una forza chiave che sostiene il regime di Assad. In questo senso, la Russia di Putin fa parte della prima colonna, non è la quarta.

TC: Non è forse vero che il loro coinvolgimento non ha soltanto un importante effetto materiale per mezzo della loro fornitura di armi ad Assad, ma anche un importante effetto ideologico in quanto disorientano qualcuno che ci si aspetterebbe sostenesse l’insurrezione?

GA: In ultima analisi, l’insurrezione siriana ha davvero pochi amici. Perfino tra le persone che ci si aspetterebbe fossero favorevoli alle rivoluzioni, possiamo assistere ad atteggiamenti ostili, gente     abbindolata dalla propaganda del regime siriano o di Mosca che descrivono l’intera insurrezione come jihadista. E ci sono persone che guardano alla Russia come se fosse ancora l’Unione Sovietica, sebbene sul piano politico e sociale, gli Stati Uniti appaiono come molto più progressisti a paragone della Russia di Putin: un governo autoritario, capitalismo selvaggio, aliquota unica di imposta sui redditi al 13%, imprenditori banditi, e così via. Ci sono molti più motivi per considerare la Russia come un paese imperialista piuttosto che antimperialista.

In quanto a coloro che credono che il regime siriano sia ‘antimperialista’, ignorano semplicemente la storia di questo regime e l’assoluto opportunismo sul quale basa la sua politica estera. La Siria di Assad è intervenuta nel 1976 per schiacciare la resistenza palestinese e la sinistra libanese in i Libano ed evitare la loro vittoria sull’estrema destra libanese; nel 1983-85, ha condotto o appoggiato guerre contro i campi palestinesi in Libano; nel 1991, il regime siriano ha combattuto la guerra contro l’Iraq sotto il comando statunitense; faceva parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti; dagli anni ’90 fino al 2004, il regime siriano è stato il protettore del governo neo-liberale e filo-statunitense di Hariri in Libano; e durante tutti questi anni il confine siriano è stato il più tranquillo e sicuro di tutti i confini con Israele. Non c’è quindi alcun senso per cui  il regime siriano possa essere descritto come ‘antimperialista’: è un regime estremamente opportunista che non esita a cambiare campo e alleanze per promuovere i propri interessi.

TC: Potrebbe dirci qualche cosa sull’equilibrio di forze all’interno dell’opposizione siriana?

GA: Da relazioni di amici di cui mi fido e che hanno visitato tutte le aree controllate dall’opposizione, i due gruppi di al-Qaida rappresentano non più del 10% dei combattenti, mentre i Salafiti probabilmente rappresentano circa il 30%. Questo significa che la maggioranza delle forze agiscono sotto la bandiera del Libero esercito siriano (FSA), anche se parte di queste hanno una tendenza islamica. Questo è il risultato del fatto che le principali fonti di finanziamento per le forze sirime contrarie al regime sono state islamiche e con sede nel Golfo, dalle monarchie alle varie reti religiose.

Questo parlando dei gruppi armati – perché per quanto riguarda la resistenza popolare, in grande maggioranza le persone non sono interessate a nessun tipo di stato islamico, ma nelle aspirazioni democratiche e sociali che sono state gli obiettivi dell’insurrezione da quando è iniziata.

TC: Potrebbe dirci qualche cosa sul modo in cui la resistenza è organizzata e quali siano le sue principali richieste?

GA: La resistenza è molto eterogenea. Durante i primi mesi dell’insurrezione, i leader originari erano, così come in tutti gli altri paesi della regione, per la maggior parte giovani che si collegavano in rete usando internet. Si sono organizzati per mezzo di Comitati locali di coordinamento (LCCs) e hanno elaborato un programma progressista: democratico, anti-settario, e di orientamento laico. In generale una serie di richieste chiaramente progressiste che chi è di sinistra non potrebbe evitare di sostenere.

La seconda fase è stata la costituzione del Consiglio Nazionale Siriano all’estero. Questa è stata una differenza importante rispetto alla Libia dove il Consiglio Nazionale Transitorio si era formato all’interno del paese ed era riconosciuto come legittimo dalla maggior parte dell’insurrezione libica, per quanto anche in quel caso vi fossero dei problemi. Il CNS è stato formato all’estero da persone che non avevano un vero ruolo nella leadership dell’insurrezione stessa, a parte alcuni collegamenti. E’ stato creato con interferenze della Turchia e del Qatar; l’Emirato ha finanziato il CNS, specialmente la Fratellanza Musulmana che era ed è ancora un’importante componente di questa opposizione ufficiale in esilio.
Ma nello stesso CNS si possono trovare persone che appartengono alla sinistra siriana, come il Partito Democratico Popolare, che ha avuto origine da una frattura del Partito Comunista Siriano. e gli stessi LCC sono rappresentati nell’CNS e ne hanno riconosciuto il ruolo di leadership dell’opposizione. Anche in questo caso, da un punto di vista di sinistra si può essere d’accordo sulla maggior parte del programma dell’CNS  – è democratico, anti-settario e largamente di orientamento laico. Naturalmente potremmo dire che non è un programma abbastanza sociale, ma d’altra parte non è sicuramente diretto dalla sinistra radicale.
Il CNS è stato ora sostituito dalla Coalizione Nazionale Siriana; questa resta fondamentalmente una coalizione di forze il cui raggio è simile a quello delle forze coinvolte nelle insurrezioni egiziana e tunisina. Non si dovrebbe dimenticare che anche in Egitto la Fratellanza Musulmana e i Salafiti, durante l’insurrezione erano insieme ai liberali e alla sinistra.
In seguito, con la militarizzazione della lotta, la trasformazione della rivolta in guerra civile che è avvenuta progressivamente dall’autunno del 2011 in poi, abbiamo assistito all’emergere di gruppi islamici jihadisti radicali che comprendono  due gruppi che operano sotto il vessillo di al-Qaida  con differenze tra di loro, e i gruppi salafiti. Dei due affiliati ad al-Qaida, uno ha prevalentemente combattenti che provengono da fuori della Siria e l’altro è soprattutto siriano, e ci sono tensioni tra di loro. Ci sono stati crescenti scontri tra l’Esercito Siriano Libero, cioè l’ala armata dell’opposizione ufficiale, e i gruppi di al-Qaida.
E’ rassicurante vedere che i gruppi jihadisti radicali sono sempre più rifiutati dalle correnti dominanti dell’opposizione, ma si capisce anche che quest’ultim non può condurre una guerra su due fronti – hanno già abbastanza problemi per l’equilibrio sproporzionato di forze tra loro e il regime. Sfortunatamente nella lotta armata non c’è alcuna presenza della sinistra. La sinistra radicale in Siria è comunque molto marginale e la sinistra più ampia non ha tentato di organizzarsi separatamente nell’ambito del’ESL.

TC: Come ha risposto l’opposizione al tentativo del regime di rappresentarli come settari?

GA: Hanno risposto in vari modi – con dichiarazioni e annunci, striscioni nelle manifestazioni, usando i nomi di personaggi storici alaouiti o cristiani o drusi per le loro mobilitazioni del venerdì, ecc.

Ma non c’è alcun paragone possibile tra le uccisioni settarie eseguite dal regime e dalle sue shabbihas – le sue milizie – che hanno perpetrato la maggior parte delle uccisioni settarie, e quelle provocate dalle forze contrarie al regime, queste ultime commesse prevalentemente dai jihadisti che io considero un’altra forza controrivoluzionaria.
Naturalmente ci sono reazioni feroci da parte delle persone con scarsa consapevolezza politica che hanno reagito in modo settario alla brutalità del regime. Ebbene, che cosa ci si aspetta? Questo non è un esercito di intellettuali marxisti che affrontano un regime; è un’insurrezione popolare e senza una dirigenza politica in grado di educare la popolazione. Ci sono quindi azioni settarie da parte dell’opposizione in reazione al massiccio settarismo del regime. – analogamente a quanto successo nella guerra civile libanese con molta maggiore simmetria nelle uccisioni settarie tra le due parti, e se questi fossero i criteri, ognuno avrebbe dovuto rifiutare entrambe le parti nella guerra civile libanese.
Naturalmente dovremmo denunciare tutti gli atti settari ogni volta che accadono – ed effettivamente sono denunciati dall’opposizione e dall’ESL. Non dovremmo però cadere nella trappola di ignorare la differenza di scala tra le uccisioni settarie di  massa del regime e quelle commesse dalle forze contrarie al regime.

TC: Quale è la relazione con la lotta curda?

GA: Sia il regime che l’opposizione all’inizio hanno corteggiato i Curdi, il primo perché non voleva che i Curdi si unissero all’insurrezione, e gli insorti perché volevano che si unissero a loro. Il CNS includeva nel suo programma il riconoscimento dei diritti delle minoranze – senza arrivare a riconoscere il loro diritto all’autodeterminazione, ma questa non è neanche una richiesta unanime dei Curdi in Siria, per quanto personalmente sarei naturalmente completamente a favore della difesa di questo diritto.

Il movimento curdo siriano ha colto l’occasione per prendere il controllo delle zone curde. La forza dominante tra i Curdi siriani è legata al PKK, (Partito dei lavoratori del Kurdistan) predominante nella parte  del Kurdistan  controllata dai Turchi e che ha coltivato legami con il regime siriano nel corso degli anni. I Curdi, però non intervengono direttamente nella guerra civile, sono occupati a controllare la loro area, stabilendo un’autonomia de-facto come è accaduto in Iraq. Non credo che in futuro possano perderla  – quindi questo per loro è un risultato. Mantengono una certa distanza dalla guerra civile, a parte scontri con i jihadisti di tanto in tanto.

TC: Come descriverebbe la situazione nelle aree controllate dall’ESL? Chiaramente la situazione umanitaria è disastrosa, ma come la descriverebbe dal punto di vista politico?

GA: Sì, la situazione umanitaria è assolutamente orribile. In molte delle aree dove l’opposizione è subentrata e si è liberata dello stato Bahatista, abbiamo assistito alla creazione di comitati democratici locali, con  qualche forma di elezioni. Questo è un fatto assolutamente positivo, ma è in un certo modo normale quando sparisce l’autorità in un luogo, tentare di organizzare qualcosa per sostituirla; non si dovrebbero dipingere questi comitati come ‘sovietici’ o o qualcosa del genere, sarebbe completamente fuori luogo. Queste strutture possono rappresentare un interessante potenziale per il futuro, ma per il momento sono soltanto misure di auto-organizzazione allo scopo di riempire il vuoto di potere creato dal crollo delle strutture statali locali.

TC: Come riassumerebbe quello che la sinistra dovrebbe fare riguardo alla Siria?

GA: E’ veramente importante dichiararsi solidali con l’insurrezione siriana e non essere timorosi al riguardo. Se crediamo nel diritto dei popoli all’autodeterminazione, se crediamo nel diritto delle persone a eleggere liberamente chiunque vogliano, allora perfino se avessimo un’insurrezione guidata da forze islamiche, questo non dovrebbe cambiare la nostra posizione – come per esempio è successo con Gaza e Hamas, o con la resistenza irachena che, vorrei ricordare,  è stata molto più sotto il controllo islamico di quanto sia accaduto in Siria.

Per tutte queste ragioni penso che sia molto importante esprimere solidarietà alla rivoluzione siriana, costruire collegamenti con i progressisti dell’opposizione siriana, contrastare la regime e quella di Mosca e denunciare la complicità di Washington e dell’Occidente nel crimine contro l’umanità che viene perpetrato in Siria.

“Se non schiacciamo il fascismo sarà il fascismo a schiacciare noi”

1235107_592811744094535_192737202_aComunicato della sinistra greca, Kokkino, membro di Syriza, sull’uccisione di Paul Fyssas.

L’assassinio a sangue freddo di Paul Fyssas di 34 anni, da parte dei nazisti di Alba Dorata è l’inizio di un’era completamente nuova nell’azione dei fascisti. Dopo l’attacco criminale ai membri del Partito comunista a Perama ,qualche giorno prima, l’assassinio dell’antifascista Paul Fyssas è oggi una dichiarazione aperta di guerra dei fascisti contro la sinistra e il movimento operaio.

I membri di Alba Dorata non sono più soddisfatti della logica dei “Keadas” e di avere come obiettivo gli strati più deboli della società (immigrati, omossessuali etc.) ma passano adesso a colpire i loro nemici naturali: il movimento operaio e la gioventù, insieme all’intera sinistra.

La brusca scalata della violenza fascista non è così aleatoria e spontanea, perché si manifesta in un periodo di crescita delle lotte attraverso gli scioperi contro il memorandum; un periodo che è anche di rafforzamento dell’influenza della sinistra, nel quadro di una apparente impasse del governo.

Di fatto, Alba Dorata punta allo schiacciamento del movimento operaio e della sinistra per dimostrare così la propria utilità al padronato (i capitalisti, i banchieri, la Troika) e per guadagnare totalmente la loro fiducia. L’eserciti di assassini e la canaglia, guidata qualche giorno fa da Kasidiaris a Meligalas, è pronta ad agire e a provare così che può essere utile. La sua utilità non si limita soltanto a compiere omicidi e ad attaccare la sinistra ma a dimostrare a coloro che governano che possono contare sui neo-nazisti nella prospettiva di dissuasione, destabilizzazione o rovesciamento di un eventuale governo delle sinistre. Va in questo senso ciò che è stato detto e scritto alcuni giorni fa da “rinomati giornalisti” sul bisogno di cooperazione tra le “forze conservatrici” ed Alba Dorata, al fine di evitare un “governo delle sinistre”.

Con la rivoluzione, no all’intervento in Siria

1238341_538639582868541_1785113050_nDichiarazione di Socialisti Rivoluzionari (Egitto) – Corrente della Sinistra Rivoluzionaria (Siria) – Unione dei comunisti (Iraq) – Al-Mounadil-a (Marocco) – Forum socialista (Libano) – Lega della Sinistra Operaia (Tunisia).

Pubblicato il 31 agosto, 2013 in inglese sul sito al-Manshour.

Oltre 150 mila persone sono state uccise, centinaia di migliaia di feriti e disabili, milioni di sfollati dentro e fuori la Siria. Città, villaggi e quartieri sono stati distrutti completamente o in parte, utilizzando tutti i tipi di armi, tra cui aerei da guerra, missili Scud, bombe e carri armati, tutti pagati con il sudore e il sangue del popolo siriano. Tutto ciò con il pretesto di difendere la patria e di raggiungere l’equilibrio militare con Israele (la cui occupazione del suolo siriano è, in realtà, protetta dal regime siriano, che non è riuscito a rispondere a nessuna delle sue continue aggressioni).

Eppure, nonostante le enormi perdite e le calamità inflitte su tutti i siriani, nessuna organizzazione internazionale, nessuno Stato più o meno importante ha sentito il bisogno di offrire solidarietà concreta o di sostenere i siriani nella loro lotta per i più elementari diritti, la dignità umana e la giustizia sociale.

L’unica eccezione è stata quella di alcuni paesi del Golfo, più in particolare il Qatar e l’Arabia Saudita. Tuttavia, il loro scopo era quello di controllare la natura del conflitto e guidarlo in una direzione settaria, snaturando la rivoluzione siriana e puntando a farla abortire, essendo intimamente preoccupati che la fiamma rivoluzionaria raggiunga i loro lidi. E così hanno sostenuto gruppi oscurantisti Takfiri [propaggini violente del movimento salafita n.d.t.], provenienti per la maggior parte dai quattro angoli del mondo, per imporre una visione grottesca di governo basata sulla sharia islamica. Questi gruppi sono stati sempre più impegnati in massacri terrificanti contro i cittadini siriani che si opponevano alle loro misure repressive e alle aggressioni nelle aree sotto il loro controllo o sotto attacco, come nel recente esempio dei villaggi nelle campagne della Latakia.

Un ampio blocco di forze ostili, provenienti da tutto il mondo, sta cospirando contro la rivoluzione del popolo siriano, scoppiata in contemporanea con le rivolte che si sono diffuse in larga parte della regione araba e nel Maghreb negli ultimi tre anni. Le insurrezioni popolari miravano a porre fine a una storia di brutalità, ingiustizia e sfruttamento e ottenere i diritti di libertà, dignità e giustizia sociale.

Tuttavia, ciò ha portato non solo le brutali dittature locali, ma anche la maggior parte delle forze imperialiste a cercare di perpetuare il furto della ricchezza del nostro popolo, insieme alle classi e alle forze reazionarie in tutte quelle zone e nei paesi circostanti.

Per quanto riguarda la Siria, l’alleanza che combatte contro la rivoluzione popolare comprende una miriade di forze settarie reazionarie, guidate dall’Iran e le milizie confessionali in Iraq, e, con grande rammarico, le forze d’attacco di Hezbollah, che sta affogando nel pantano della difesa di un regime dittatoriale profondamente corrotto e criminale.

Questa spiacevole situazione ha colpito anche una parte importante della sinistra tradizionale araba con radici staliniste, sia in Siria stessa o in Libano, in Egitto, e nel resto della regione araba – e in tutto il mondo – che è chiaramente sbilanciata verso l’alleanza miserabile che circonda il regime di Assad. La giustificazione è che alcuni lo vedono come “resiliente” o addirittura come un regime di “resistenza”, nonostante la sua lunga storia – attraverso tutta la sua permanenza al potere – di tutela dell’occupazione sionista delle alture del Golan, la sua costante sanguinosa repressione dei vari gruppi di resistenza ad Israele, sia palestinesi che libanesi (o siriani), rimanendo inattivo e servile fin dalla guerra dell’ottobre 1973, riguardo le aggressioni israeliane nei territori siriani. Questo pregiudizio avrà gravi ripercussioni sulla posizione delle persone comuni siriane riguardo alla sinistra in generale.

Le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza in particolare, non sono stati in grado di condannare i crimini di un regime, che il popolo siriano ha respinto continuamente e pacificamente per più di sette mesi, mentre le pallottole dei cecchini e gli shabbiha [milizie armate in abiti civili a sostegno del regime di Assad n.d.t.] hanno colpito i manifestanti uno per uno e giorno dopo giorno e, mentre gli attivisti più influenti sono stati imprigionati e sottoposti alle peggiori forme di tortura e di eliminazione nelle prigioni e nei centri di detenzione. Per tutto il tempo, il mondo è rimasto completamente in silenzio e in uno stato di passività totale.

La situazione è rimasta la stessa con poche differenze dopo che il popolo rivoluzionario ha deciso di prendere le armi e l’emergere di quello che è divenuto noto come Esercito siriano libero (ESL) – il cui comando e i cui soldati provenivano in larga parte dall’esercito regolare. Ciò ha portato alla orribile escalation dei crimini da parte del regime.

L’imperialismo russo, il più importante alleato del regime baathista di Damasco, che gli fornisce tutti i tipi di sostegno, rimane in guardia per bloccare qualsiasi tentativo di condannare questi crimini nel Consiglio di Sicurezza. Gli Stati Uniti, d’altra parte, non trovano particolari problemi nella continuazione dello status quo, con tutte le ripercussioni evidenti e la distruzione del paese. Ciò nonostante le minacce e le intimidazioni utilizzati dal presidente degli Stati Uniti, ogni volta che qualcuno nell’opposizione solleva la questione dell’uso di armi chimiche da parte del regime, fino all’ultima escalation, quando si è ritenuto che si fosse attraversata una “linea rossa”.

E’ chiaro che Obama, che dà l’impressione di portare a compimento le sue minacce, si sarebbe sentito in grande imbarazzo se non lo avesse fatto, dal momento che ciò avrebbe avuto non solo un impatto negativo sul presidente, ma anche sull’immagine dello stato potente e arrogante che detiene agli occhi dei paesi arabi asserviti e del mondo intero.

L’attacco imminente contro le forze armate siriane è guidato in sostanza dagli Stati Uniti. Tuttavia, esso si verifica con la comprensione e la cooperazione dei paesi imperialisti alleati, anche in assenza di legittimazione attraverso la solita farsa, conosciuta come legittimità internazionale (vale a dire le decisioni dell’ONU, che era e rimane rappresentante degli interessi delle grandi potenze, che siano in conflitto tra loro o in alleanza, a seconda delle circostanze, delle differenze, e degli equilibri). In altre parole, l’attacco non attenderà il Consiglio di sicurezza a causa del veto russo-cinese annunciato.

Purtroppo, molti nell’opposizione siriana stanno puntando su questo attacco e sulla posizione degli Stati Uniti in generale. Essi ritengono che questo creerebbe loro un’opportunità per prendere il potere, saltando il movimento, le masse e la loro decisione indipendente. Non dovrebbe essere una sorpresa, quindi, che i rappresentanti di questa opposizione e dell’ESL non hanno avuto riserve sulla fornitura di informazioni agli Stati Uniti circa gli obiettivi proposti per l’attacco.

In tutti i casi, sosteniamo quanto segue:

  • L’alleanza imperialista occidentale colpirà diverse posizioni e le parti vitali delle infrastrutture militari e civili in Siria (con diverse vittime, come al solito). Tuttavia, come è stato annunciato, gli attacchi non saranno destinati a rovesciare il regime. Essi sono semplicemente destinati a punire, nelle parole di Obama, la leadership siriana corrente e salvare la faccia per l’amministrazione degli Stati Uniti, dopo tutte le minacce concernenti l’uso di armi chimiche.
  • Le intenzioni del presidente Usa di punire la leadership siriana non derivano, in qualsiasi modo o forma, dalla solidarietà di Washington con la sofferenza dei bambini che sono caduti nelle stragi Ghouta, ma dal suo impegno per quello che Obama chiama gli interessi vitali degli Stati Uniti e la sicurezza del loro territorio, oltre agli interessi e la sicurezza di Israele.
  • L’esercito siriano e i suoi alleati regionali, guidati dal regime iraniano, non avranno abbastanza coraggio, molto probabilmente, per compiere ciò che sembrava essere minacciato dai suoi alti funzionari, cioè che qualsiasi attacco occidentale contro la Siria avrebbe infiammato tutta la regione. Ma questa opzione rimane sul tavolo, come opzione finale con risultati catastrofici.
  • L’imminente aggressione imperialista occidentale non intende sostenere la rivoluzione siriana in alcun modo. Avrà lo scopo di spingere Damasco al tavolo delle trattative e consentire a Bashar al-Assad di ritirarsi dalla scena, mantenendo il regime in atto, allo stesso tempo migliorando notevolmente le condizioni per rafforzare la posizione dell’imperialismo USA contro l’imperialismo russo nella futura Siria.
  • Quanto più coloro che partecipano alla mobilitazione popolare in atto – che sono più coscienti, leali, e dediti al futuro della Siria e del suo popolo – realizzeranno questi fatti, le loro conseguenze, i risultati, e agiranno di conseguenza, tanto più ciò contribuirà ad aiutare il popolo siriano a scegliere con successo una vera direzione rivoluzionaria. Nel processo di una lotta ingaggiata sulla base degli interessi attuali e futuri del loro popolo, ciò produrrebbe un programma radicale, coerente con quegli interessi, che potrebbe essere promosso e messo in pratica sulla strada della vittoria.

No a tutte le forme di intervento imperialista, sia da parte degli Stati Uniti che della Russia.

No a tutte le forme di intervento settario e reazionario, sia da parte dell’Iran che dei paesi del Golfo.

No all’intervento di Hezbollah, che merita la nostra massima condanna.

Basta con tutte le illusioni circa l’imminente attacco militare degli Stati Uniti.

Aprire i depositi di armi per il popolo siriano a lottare per la libertà, la dignità e la giustizia sociale.

Vittoria per una Siria libera e democratica e sempre abbasso la dittatura di Assad e tutte le dittature.

Viva la rivoluzione del popolo siriano.

Cronaca di un intervento (molto) annunciato

siria_1Per essere chiari: siamo completamente e indubbiamente contro qualsiasi intervento militare di Stati uniti e alleati contro la Siria. Siamo state/i in prima fila negli ultimi 20 anni nel denunciare questo tipo di interventi (dall’Iraq alla ex-Jugoslavia, dall’Afghanistan alla Somalia, dalla Libia al Mali e tanti altri) e ci siamo mobilitate/i per contrastarli – in particolare per denunciare e contrastare il contributo politico, militare e finanziario del nostro paese a tali interventi. Sembra una banalità, ma non è così: in primo luogo perché è bene ricordarlo a noi stesse/i e a chi vuole ascoltarci; in secondo luogo perché altri non possono rivendicare tale coerenza – pensiamo al grande attivismo attuale dei pochi militanti del PdCI, che sembrano non ricordare (o forse preferiscono rimuovere…) il contributo del loro partito ai bombardamenti su Belgrado; o a chi ha preferito salvare il soldato Prodi di fronte al rinnovo della missione militare in Afghanistan….

Gli ultimi giorni sembrano aver aperto la strada ad una possibile escalation dell’intervento militare diretto in Siria, attraverso una qualche forma di bombardamento di Usa e alleati.
Il terribile attacco con armi chimiche nella zona di Ghouta a Damasco sembra rappresentare per la diplomazia internazionale e per gli ipocriti governi occidentali un evento da cui non possono prescindere e al quale devono in qualche modo «rispondere».
Naturalmente non possiamo sapere con certezza chi siano i responsabili dell’uso di gas contro la popolazione siriana – ma in fondo questa tragedia non cambia sostanzialmente quanto avviene in quel paese (e le responsabilità criminali del regime, non solamente negli ultimi due anni di repressione e massacri), anche se potrebbe provocare un salto di qualità nella guerra in corso.
Abbiamo visto troppe volte le menzogne e le bufale della propaganda di guerra per poterci fidare dei vari Kerry, Cameron e amici loro. Allo stesso tempo ci fanno sorridere – per non dire che ci disgustano – i falsi ingenui che prendono automaticamente per buone le rivelazioni del regime di Assad che ha immediatamente ritrovato i bidoni di armi chimiche nei tunnel scavati dai «ribelli» – come se questa non fosse propaganda alla stessa stregua e con la stessa mancanza di credibilità.
L’intervento diretto di Usa e alleati potrebbe quindi scattare, malgrado questo intervento non sia stato davvero perseguito da Obama e la sua amministrazione – che anzi continua ad avere molti dubbi e a inviare al regime di Assad, ai suoi protettori e al mondo intero segnali contraddittori.
Obama continua a parlare della «necessità di un consenso della comunità internazionale», ma questa è una frase che non significa nulla – soprattutto in bocca a chi si sente in qualche modo il rappresentante legittimo, morale prima ancora che politico, di tale «comunità» inesistente. Allo stesso tempo cerca segnali precisi che provengono da Russia e Cina, dichiaratamente contro ogni intervento diretto – ma pronte a prenderne atto con proteste formali e nessuna conseguenza seria sul piano delle relazioni diplomatiche, come già successo più volte anche negli ultimi anni, mentre continueranno a fornire armi e supporto tecnico al regime siriano.

A discapito della scarsa voglia di imbarcarsi in un’avventura di cui non riescono a prevedere conseguenze a corto e lungo periodo, Usa e alleati potrebbero comunque alla fine decidere per un intervento «limitato» – più simile ai bombardamenti su Somalia e Uganda che non alla «missione» in Kosovo.
Questo intervento peggiorerebbe ancor più di quanto già sia tragica la situazione in Siria, per diversi motivi: in primo luogo, come sempre avviene, la solita «chirurgia» di guerra statunitense e alleata porterà nuovi lutti alla popolazione siriana che si vuole «liberare», come succede ogni giorno in Afghanistan e come è successo in Iraq, Kosovo, Libia ecc… – con altre migliaia di profughi che fuggiranno dalle zone bombardate; secondo, pur causando danni alle forze militari del regime, non sarebbe in grado (ne si spingerebbe a farlo) di renderle inoffensive – anche perché ci sarebbe comunque un aumento delle forniture e del sostegno da parte di Russia e Iran; terzo, il regime ricompatterà le sue fila e riceverà nuovi consensi in Siria e fuori dalla Siria; quarto ci sarà sicuramente una recrudescenza degli scontri armati – anche tra le file dell’opposizione, perché diversi gruppi cercheranno di garantirsi una migliore posizione per i giorni dopo l’intervento; infine, aumenterà il rischio di un contagio regionale, che si estenderebbe direttamente al Libano e poi ad altre regioni, forse fino all’Egitto.
Per tutto questo siamo contro ad un intervento militare in Siria, diretto e messo in atto da chi si presenta come gendarme del mondo non avendone alcun titolo.

Dicendo che siamo contro l’intervento straniero in Siria dobbiamo ricordare che questo già è in corso, da parte di diversi soggetti: mentre la frastagliata opposizione siriana viene nei suoi diversi gruppi sostenuta da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e dagli stessi paesi della Nato, il regime di Assad ha goduto di un sostegno fondamentale di Russia e Iran, oltre che di quello sul campo dei miliziani di Hezbollah – che in diversi casi hanno risolto battaglie importanti per la tenuta militare del regime.
Queste diverse agende hanno da una parte consentito al regime di Assad di continuare a sopravvivere e a continuare ad ammazzare, distruggere, imprigionare – e dall’altra hanno in qualche modo «ucciso» la rivoluzione siriana, consentendo a gruppi minoritari ma meglio equipaggiati di avere egemonia sul campo, mettendo fuori gioco non solo le forze laiche e democratiche, ma anche in molti casi i Comitati locali della stessa rivoluzione, oltre a provocare rotture pericolose con le popolazioni e i gruppi kurdi.
In fondo questa situazione di «equilibrio» bellico – dove il regime non può pensare di tornare ad una situazione precedente il marzo 2011 e le opposizioni non sono in grado di vincere militarmente – è la migliore possibile per tutti questi attori che possono continuare a condurre i loro giochi politico-strategici sulla pelle delle e dei siriane/i.

Onestamente non riusciamo a credere davvero ad un intervento non militare di una «comunità internazionale» che non riesce nemmeno a organizzare un piano di aiuti umanitari degno di questo nome, che almeno protegga rifugiati e bambine/i con una «pacifica invasione» di forze disarmate e di sostegno alla popolazione. Non riusciamo a credere ad una diplomazia internazionale capace di proporre una «soluzione politica» che non sia il salvataggio del regime magari sacrificandone il simbolo (Bashar) per mantenere un attore che ha garantito un equilibrio regionale favorevole a Israele e quindi agli stessi Stati Uniti.
Per questo non riusciamo a lanciare appelli al «dialogo» e a «conferenze internazionali» che oggi sarebbero gestite dagli stessi soggetti statali e non che hanno le principali responsabilità nella distruzione della Siria.
Dichiararsi oggi con forza contro l’intervento Usa e alleato – contro i bombardamenti più o meno «mirati» e contro ogni altra misura di guerra – per noi non può infatti prescindere da una chiara, sincera e forte denuncia dei crimini del regime e dal sostegno alle ragioni della rivoluzione siriana. E in Italia questo significa stare insieme alle siriane e ai siriani che denunciano tali crimini e si mobilitano per la libertà e la dignità in Siria: sappiamo che molte/i di loro approveranno un eventuale intervento Usa: non condividiamo in alcun modo questa loro posizione, anche se comprendiamo quelle/i che sinceramente pensano che questo possa dare una tregua alle sofferenze della popolazione siriana. Per quanto abbiamo detto, non ne siamo convinte/i – e comunque ci sono ragioni politiche globali che rendono un eventuale intervento pericoloso e drammatico per tutte/i, siriane/i in primo luogo.
Vorremmo che si alzassero tante voci anche in Italia e in Europa che dicano con chiarezza che non accetteranno una nuova guerra occidentale in medioriente e che non accettano più di stare in silenzio di fronte ai crimini di Assad e del suo regime – e che per questo moltiplicheranno ogni iniziativa di sostegno alla popolazione siriana e alle forze di opposizione democratiche. Prima di tutto non lasciandole sole.

Articolo di Piero Maestri, dal sito ilmegafonoquotidiano.it

Egitto: abbasso il governo militare!

180536592-264fadc3-0410-4a31-a432-889bbd8932faRiportiamo qui la dichiarazione del gruppo dei “Socialisti Rivoluzionari” egiziani dopo il massacro di ieri nelle piazze del Cairo

Abbasso il governo militare!
Basta con Al-Sisi, leader della contro-rivoluzione!

La sanguinosa distruzione dei sit-in in Al-Nahda Square e Raba’a al-Adawiyya non è altro che un massacro – preparato in anticipo. L’obiettivo è quello di liquidare i Fratelli Musulmani, ma è anche parte di un piano per liquidare la rivoluzione egiziana e ripristinare lo stato di polizia e militare del regime di Mubarak.
I Socialisti Rivoluzionari non hanno difeso il regime di Mohamed Mursi e dei Fratelli Musulmani nemmeno per un solo giorno. Siamo sempre stati in prima fila nell’opposizione a quel criminale e fallimentare regime che ha tradito gli obiettivi della rivoluzione egiziana, proteggendo i pilastri del regime di Mubarak e del suo apparato di sicurezza, forze armate e uomini d’affari corrotti. Abbiamo partecipato in maniera decisa all’ondata rivoluzionaria del 30 giugno.

Nemmeno abbiamo difeso i sit-in della fratellanza e i loro tentativi di riportare al potere Mohamad Morsi.
Ma dobbiamo guardare agli eventi di oggi nel loro contesto, che è l’uso dei militari per distruggere gli scioperi operai; allo stesso tempo vediamo anche la nomina di nuovi governatori provinciali, in gran parte tratte dalle file di ciò che resta del vecchio regime, della polizia e dei generali delle forze armate. Quindi vediamo le politiche del governo del generale Abdel Fatah Al-Sisi, che ha adottato un programma chiaramente ostile agli obiettivi e alle richieste della rivoluzione egiziana: la libertà, la dignità e la giustizia sociale.

Questo è il contesto del brutale massacro che l’esercito e la polizia stanno commettendo. Si tratta di una sanguinosa prova generale per la liquidazione della rivoluzione egiziana; ha come obiettivo quello di spezzare la volontà rivoluzionaria di tutti gli egiziani che reclamano i loro diritti – siano essi lavoratori, poveri o giovani rivoluzionari – attraverso la creazione di uno stato di terrore.
Allo stesso modo la reazione da parte dei Fratelli Musulmani e dei salafiti che attaccano i cristiani e le loro chiese, è un crimine settario che serve solo le forze della controrivoluzione. Il regime di Mubarak e Al Sisi sono complici dello sporco tentativo di creare una guerra civile, in cui i cristiani egiziani cadranno vittime dei reazionari Fratelli Musulmani, visto che non hanno mai difeso i copti e le loro chiese.

Condanniamo con fermezza le stragi di Al-Sisi, e siamo nettamente contro il suo rozzo tentativo di interrompere la rivoluzione egiziana – perché la strage di oggi è il primo passo in direzione contro-rivoluzione. Siamo con la stessa fermezza contro tutte le aggressioni contro i cristiani in Egitto e contro la campagna settaria che serve solo gli interessi di Al-Sisi e il suo sanguinosa progetto.
Molti di coloro che si definiscono come liberali e di sinistra hanno tradito la rivoluzione egiziana, guidati da coloro che hanno preso parte al governo di Al-Sisi. Hanno venduto il sangue dei martiri per lavare le mani ai militari e alla contro-rivoluzione. Queste persone hanno il sangue sulle loro mani.
Noi Socialisti rivoluzionari non devieremo mai dal sentiero della rivoluzione egiziana. Non scenderemo mai a compromessi sui diritti dei martiri rivoluzionari e del loro sangue puro: quelli che sono caduti affrontando Mubarak, quelli caduti affrontando il Consiglio militare, quelli caduti affrontando il regime di Mursi, e coloro che cadono ora affrontando Al-Sisi e i suoi sgherri.

Abbasso il governo militare!
No al ritorno del vecchio regime!
No al ritorno della Fratellanza!
Tutto il potere e la ricchezza al popolo

I Socialisti Rivoluzionari
14 agosto 2013

Un progetto per il nostro tempo

L’associazione «Solidarietà Internazionalista» è uno strumento, un luogo di dibattito e approfondimento politico e culturale, le/i cui aderenti sono impegnate/i direttamente nel conflitto sociale e in progetti di autogestione, autorganizzazione, riappropriazione sociale.

Viviamo in tempi difficili. Alla dissoluzione di quello che nel Novecento abbiamo chiamato movimento operaio non è seguita ancora la costruzione di nulla che abbia la forza materiale e simbolica per affrontare la durezza degli attuali conflitti di classe. Di quel movimento siamo state/i parte ed in esso abbiamo condotto una battaglia politica e delle idee preziosa, collegandoci alle esperienze marxiste rivoluzionarie, critiche, libertarie, arricchite dalle acquisizioni dei movimenti sociali radicali del secondo dopoguerra, in primo luogo da quello femminista: per la rivoluzione permanente e l’emancipazione sociale come “opera dei lavoratori stessi”; contro la burocrazia nella mezzanotte del secolo; per una rivoluzione internazionale nel fuoco degli anni 60 e 70; contro il capitalismo, lo stalinismo e per la libera autodeterminazione dei popoli in lotta, dei movimenti di massa; per il femminismo e il libero orientamento sessuale; per una visione ecologica della trasformazione sociale.

Rivendichiamo per intero quelle battaglie, e sappiamo che molte di quelle acquisizioni sono ancora essenziali. Sappiamo però che una vicenda storica si è chiusa da tempo sull’onda della crisi della cultura di classe, dello sfarinamento della rete di relazioni tra sindacati, partiti, strutture associative e cooperative. L’insieme sinergico di movimento operaio è stato sfiancato da una progressiva perdita di coscienza provocata non solo dai colpi del capitalismo in crisi ma anche dalla fine e fallimento del comunismo realizzato, le cui macerie hanno finito per devastare i soggetti che si volevano liberati, e dall’egemonia conquistata in quello stesso movimento dalle tendenze prima socialdemocratiche e poi «social-liberiste», che hanno consegnato molte istituzioni realizzate dal movimento alle logiche di mercato che si volevano combattere. Quella storia è alle nostre spalle anche se genera ancora mostri del presente. Viviamo oggi il tempo lento della ricostruzione: delle idee, della forza materiale dei soggetti. E in questo tempo, in questa impresa ci collochiamo e ci impegniamo consapevoli della inadeguatezza irreversibile dell’attuale sinistra, figlia delle proprie colpe e dei propri errori.

Siamo compagne e compagni che in questi anni hanno partecipato all’esperienza di Sinistra Critica, della quale sono state/i anche fondatori, dirigenti, attiviste/i. Dall’interno di questa esperienza abbiamo maturato la convinzione che serva una rottura, una svolta decisa rispetto alla tradizione del piccolo partito ideologicamente cristallizzato e incapace per questo di comprendere le trasformazioni della composizione di classe e dei percorsi di politicizzazione.

Abbiamo costruito il progetto di Sinistra critica come alternativa alla deriva governista e compromissoria di Rifondazione comunista. Abbiamo tenuto in vita un’ispirazione e un patrimonio militante che, però, non è bastato all’impresa. Anche perché l’impresa stessa ha mutato coordinate e ridefinito le priorità. Oggi non si tratta più di costruire piccoli partiti, fondati sulla forza di un’ideologia che spesso surroga l’ininfluenza sociale. Viviamo il tempo della ricostruzione in cui i confini tra gli elementi politici e quelli sociali della lotta di classe si fanno più tenui e scoloriti e la ridefinizione di un progetto è più contraddittoria. All’esperienza di Sinistra critica guardiamo con serenità, convinti che quel percorso andasse compiuto fino in fondo. Non viviamo il suo scioglimento come un fallimento ma come una scelta consapevole e necessaria per investire le energie che ci ha lasciato, militanti e culturali, nel nuovo tempo che ci attende.

Il problema di come ricostruire un progetto anticapitalista in un contesto in cui le forze scarseggiano ma la rabbia sociale si acuisce resta il nodo di fondo. L’aggressione capitalistica è del tutto evidente, la rapina delle risorse pubbliche, del salario, dei diritti è compiuta ogni giorno con sempre meno pudore. La lotta di classe è sempre più “grezza”, ruvida, con corpi sociali che si trovano a diretto contatto con la violenza della controparte – che invece ha diversi “corpi intermedi” e strumenti per agire – e che sono chiamati a dare risposte estemporanee e sperimentali. Vanno lette così le esperienze di rivolta globale in corso nel pianeta, da Occupy agli Indignados fino alle rivoluzioni arabe e alle stesse lotte operaie in paesi fondamentali come la Cina. La ribellione è ovunque, spuria, multiforme, con caratteri primordiali di resistenza che ridefiniscono un alfabeto della rivoluzione. E’ a questo alfabeto che vogliamo collegarci sapendo che è il tempo della lenta impazienza dove la capacità di raccordarsi ai ritmi e ai linguaggi della moderna protesta è decisiva. I soggetti della trasformazione si riformeranno a partire dai tentativi di darsi l’autorganizzazione elementare. Per ricostruire non servono generici appelli all’unità della sinistra, ipotesi astratte di ricomposizione tra ceti militanti pur generosi ma svincolati da un processo reale di rimescolamento sociale.

Per un’opzione rivoluzionaria in assenza di condizioni rivoluzionarie, è quasi essenziale il tessuto sociale in cui insistere. Per questo pensiamo che il nostro compito non sia oggi quello di affermare un’identità già confezionata e a tutto tondo, quanto quella di costruire e sperimentare strumenti per l’autorganizzazione delle figure, vecchie e nuove, del lavoro salariato, del precariato, delle istanze di rivolta. Nel nostro orizzonte resta l’obiettivo di costruire un soggetto politico di classe, anticapitalista, ecologista, femminista. Quell’obiettivo ha però bisogno di precondizioni, di tempo, di innovazioni, di esperimenti. La priorità non è la forma-partito, le elezioni, la propaganda, ma la costruzione di strumenti di solidarietà classista e di mutuo soccorso, le vecchie “casematte” gramsciane. In questo senso lavoriamo per costruire un’area anticapitalista, ecologista, femminista, internazionalista.

Nel nuovo tempo la democrazia è più decisiva che mai. Democrazia come strumento di protagonismo sociale autodeterminato, spesso in latente contrapposizione al sistema istituzionale dominante. Come critica alla politica in grado di fondare una critica anti-sistemica e di immaginare istituzioni di movimento alternative. Non propagandiamo l’anti-elettoralismo a tutti i costi ma mentre le dinamiche sociali si muovono per cercare, sia pure confusamente, un senso alternativo al sistema istituzionale vigente, sarebbe un errore puntare sulla mera rappresentanza istituzionale.

In questo progetto entriamo con un’identità in movimento. L’identità non può essere data una volta per tutte perché essa stessa è un processo. Ribadiamo elementi storici fondamentali come la rottura con il capitalismo, la necessità di fondare istituzioni di movimento alternative, l’autodeterminazione democratica dei soggetti in lotta, la visione internazionalista, il rifiuto degli apparati e delle burocrazie, la libertà individuale a partire dagli orientamenti sessuali, la dimensione ecologica delle lotte. Il femminismo come parte integrante del processo di liberazione. Ma il nostro riferimento al marxismo critico si nutre di una grande apertura culturale e punta a valorizzare il meglio della tradizione rivoluzionaria. Soprattutto, si pone in ascolto e in ricerca di elementi nuovi e di soluzioni programmatiche inedite.

La lotta di classe è sempre più globalizzata. Questa consapevolezza ha assunto una larga dimensione già con il movimento antiglobalizzazione agli inizi degli anni 2000. La necessità di un’ Internazionale intesa come alleanza plurale, democratica, legata dalla libera scelta delle sue componenti, in grado di costruirsi non solo sul piano del progetto politico ma anche nella pratica dei movimenti, è oggi un’acquisizione incontestabile. Per questo restiamo nel campo del progetto e del dibattito della Quarta internazionale pur ritenendo che quella definizione abbia fatto il suo tempo e che, anche sul piano internazionale, occorra sfidare con più coraggio il futuro.

Campo anticapitalista in Grecia

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Dal 3 al 9 agosto in Grecia, a Kalpaki, si terrà il campeggio internazionale rivoluzionario femminista ecologista, organizzato dalla Quarta Internazionale, ma ormai da anni allargato a diverse forze della sinistra anticapitalista e a esperienze di movimento. Parteciperanno delegazioni da Grecia, Russia, Francia, Spagna, Palestina, Brasile, Filippine, Messico, Tunisia, Germania, Portogallo e Turchia… Un appuntamento particolarmente importante quest’anno, segnato dalle rivoluzioni del Nord Africa, dalle mobilitazioni e dagli scioperi in Europa contro l’austerità e il debito, dai movimenti Occupy che ovunque hanno posto al centro la questione democratica. Un’occasione utile per discutere, confrontare lotte ed esperienze, progettare campagne contro il pagamento del debito, la precarietà, la dismissione della formazione pubblica, così come sui temi di femministi e lgbitq.

Un momento importante per chi lotta ogni giorno nei movimenti sociali, nelle scuole e nelle università, e nella costruzione di una sinistra anticapitalista europea, alternativa alle destre ma anche alla “sinistra” liberista. Un’occasione per chi non rinuncia a costruire nei e con i movimenti sociali un’alternativa di società e, nonostante la deriva autoritaria e ultraliberista impressa dal governo (tutt’altro che “tecnico”) Monti, tra repressione, privatizzazioni, attacchi ai diritti dei lavoratori, delle donne e degli studenti, non si arrende.

Solidarietà internazionale, femminismo, ecologismo, giovani e movimenti sociali, strategie, migranti, scuola e università, marxismo, antifascismo, beni comuni, guerra, precarietà, lgbt, saranno i temi al centro dei sette giorni. Un campeggio totalmente autogestito dai partecipanti, una piccola dimostrazione che un altro mondo, oltre che necessario, è possibile, e che sono possibili altri tipi di relazioni umane, di divertimento, di gestione degli spazi comuni.

All’interno del campo è previsto uno spazio femminista ed lgbt, che permettano il confronto e l’autorganizzazione di soggetti che vivono oppressioni specifiche, quella di genere e quella sessuale: spazi per rimettere in discussione categorie imposte dalla società.

PROGRAMMA DEL CAMPO:

Il campo è suddiviso in giornate tematiche, nelle quali gli argomenti di discussione saranno analizzati in forme plenarie (forum e formazioni) e non (workshop). Inoltre ogni giorno sono previsti spazi di discussione specifici per le tematiche di genere e per riunioni tra delegazioni di paesi diversi al fine di condividere esperienze e creare reti di solidarietà e lotta.

Sabato 3: Forum di apertura e presentazione

Domenica 4: Crisi economica, imperialismo e guerra

Lunedì 5: Giovani, classe operaia e movimenti sociali

Martedì 6: Combattere l’oppressione patriarcale – Giornata donne e lgbt

Mercoledì 7: Crisi ecologica ed ecosocialismo

Giovedì 8: Antifascismo e antirazzismo